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Tecnico meccatronico, electronics and firmware designer

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Nascita dell'idea:
Quando nacque il progetto Stratospera si presentò sin da subito l'opportunità straordinaria d'integrare al payload principale di controllo, numerosi sensori di misura alternativi. Questi infatti, avrebbero dovuto ampliare in modo decisivo l'ampia finestra di misura già fornita dalla scheda BSM-2 sviluppata da Develer srl, che racchiudeva al suo interno numerosi sensori. Tra questi vanno citati quelli di posizione GPS, quelli d'accelerazione, di temperatura, di pressione e d'umidità, nonché un sofisticato hardware di controllo per i parametri di funzionamento interni, di controllo in volo e di successiva locazione all'atterraggio. Tra le misure aggiuntive che avrebbero potuto aggiungersi al ben importante carico scientifico fornito da BSM-2, spiccavano per necessità quelle di radiazione in quota. Volando al limite dell'atmosfera terrestre, infatti, proprio all'anticamera con lo spazio, sarebbe stato interessante sapere quali importanti valori avrebbe potuto raggiungere quest'affascinante grandezza fisica. Al di fuori dello scudo naturale fornito dall'aria, infatti, avremmo potuto rivelare con estrema facilità, le radiazioni cosmiche provenienti dal Sole e dagli eventi violenti dell'Universo. Restava solo da decidere quindi, come approntare questo studio, realizzando alla fine un dispositivo specifico che avrebbe dovuto volare nella stratosfera ...

Il nostro obiettivo ...
La stratosfera è il secondo dei cinque strati in cui è convenzionalmente suddivisa l'atmosfera terrestretroposfera, stratosfera, mesosfera, termosfera e esosfera. Essa si trova al di sopra della tropopausa. La stratosfera oltre ad essere caratterizzata da una pressione atmosferica molto bassa, è caratterizzata da un gradiente termico verticale positivo, anche se molto piccolo. In essa, infatti, la temperatura aumenta leggermente con la quota, contrariamente a quanto avviene nello strato aereo sottostante. Questo interessante fenomeno è dovuto principalmente alla dissociazione delle molecole di ozono presenti in questa zona (ozonosfera) ad opera delle radiazioni luminose energetiche d'origine solare. L'ozono è un gas le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno; quando i raggi ultravioletti emessi dal Sole vanno a interagire con quest'ultime, esse si scindono in due parti: in ossigeno molecolare (O2) e  atomico (O). Questo importantissimo processo ha due effetti secondari: la produzione di calore, tanto più grande quanto maggiori sono le dissociazioni in corso e l'assorbimento di gran parte dei raggi ultravioletti incidenti d'origine solare. L'ozonosfera quindi, si comporta come un vero e proprio filtro, schermando le zone sottostanti, dalla pericolosa influenza di queste radiazioni, che se giungessero a terra, risulterebbero dannose per ogni forma di vita. La dissipazione di calore dovuta a questa dissociazione è quindi responsabile dell'aumento di calore che si registra in questa zona dell'atmosfera. La stratosfera inizia attorno alla quota media di 12 km (8 km ai poli e 20 km all'equatore) e termina ad un'altitudine di circa 50. Al di sopra di essa troviamo la stratopausa che, a differenza della tropopausa, non ha dimensioni verticali, neppure limitate; è una zona di transizione che divide la stratosfera dallo strato immediatamente superiore, la mesosfera. Esplorare la stratosfera quindi, è un po' come entrare nell'anticamera dello spazio cosmico, che per definizione inizia a circa 100 km di altezza presso la linea di Kàrmàn.

La mia esperienza a disposizione del progetto ...
Volendo fornire al team la mia esperienza decennale nella progettazione e realizzazione di misuratori Geiger in ambito amatoriale, chiesi ed ottenni subito dal direttivo di ISAA, il permesso di cimentarmi in un primo studio sulla fattibilità della cosa. Ovviamente, sapevo già dall'inizio che il dispositivo che sarei andato a progettare e costruire, avrebbe dovuto basarsi sui criteri di compatibilità elettronica della scheda BSM-2, nonché strutturali e costruttivi, richiesti dalla configurazione finale del payload. Premetto che quando presentai la "richiesta d'appalto per il progetto radioattività", non avevo ancora ben chiaro cosa avrei dovuto affrontare in termini di progettazione, ma ero di gran lunga certo, che il prodotto finale, adatto a quegli ambienti così difficili, non sarebbe arrivato se non dopo la costruzione e il collaudo in quota di alcuni prototipi sperimentali. Insieme all'amico Davide Andreani quindi, cercai di valutare attentamente sin da subito le caratteristiche che il dispositivo finale avrebbe dovuto avere. Non sapevamo ancora, infatti, come l'elettronica del contatore Geiger avrebbe reagito all'approssimarsi dei rigori della stratosfera, che sapevamo ben a quelle quote, divenire davvero proibitive. Il misuratore avrebbe resistito alla depressione dell'alta quota, tanto estrema da scendere a valori quasi prossimi al vuoto spinto? La temperatura estremamente gelida dell'ascesa nella troposfera, in che modo avrebbe agito sulla stabilità dei componenti elettronici della scheda? Le radiazioni cosmiche particolarmente energetiche presenti in quota, avrebbero potuto danneggiare le memorie del microcontrollore di bordo o la sonda di rivelazione? Servivano particolari schermature per prevenire questi disastrosi fenomeni? Queste furono solo una parte delle domande che ci balenarono in mente in quei momenti e vi garantisco che turbarono il nostro sonno per parecchi giorni. Decidemmo così di valutare attentamente tutte queste opzioni affrontandole con metodo e rigore scientifico, ponderandole da subito per gradi, non dimenticando mai il fatto che Stratospera era un progetto di studio amatoriale e come tale soggetto a regole governative restrittive. Queste dettavano in modo invalicabile i pesi massimi e gli ingombri dei palloni destinati, seppur per scopi didattici ad attraversare le aerovie nazionali. Per affrontare in modo responsabile tutto questo quindi, uno studio basilare e approfondito iniziale avrebbe reso più sicuro il volo, diminuendo così in modo molto sostanziale, la possibilità di perdere il carico utile e fare danni irrimediabili.

Il problema dell'interazione tra radiazioni ionizzanti in quota e l'hardware di controllo ...
Paradossalmente il problema della presenza delle radiazioni energetiche in quota, che avrebbero potuto interagire negativamente con l'elettronica di bordo, sembrava rappresentare l'ultimo dei problemi che avremmo dovuto affrontare. Da un'accurata ricerca su internet effettuata da Davide e me, infatti, pareva che anche altri team sparsi per il mondo, avessero effettuato studi relativi sulla necessità di schermare adeguatamente i propri hardware di misura, ma che fossero giunti ben presto alla conclusione, che questo non fosse assolutamente necessario. Ad un'attenta analisi, infatti, i loro payload si presentavano prettamente leggeri e contenuti in normali contenitori di polistirolo, che ovviamente, non potevano offrire alcuna superficie schermante decisiva, all'azione energetica di tali particelle ionizzanti. Analizzando i grafici d'irradiazione rilevati in quota nell'ambito di progetti professionali poi, scoprimmo ben presto che il tempo d'esposizione massimo consentito dai componenti elettronici a uso civile e reperibili da noi comuni mortali sul mercato, era decisamente superiore al tempo massimo che ciascun pallone di nostra costruzione avrebbe dovuto trascorrere nella zona di massima influenza radioattiva. Le radiazioni presenti nella stratosfera quindi, avrebbero potuto interferire negativamente con il nostro hardware di misura, solo se quest'ultimo fosse rimasto in volo per alcuni giorni, cosa assolutamente irrealizzabile volando sul piccolo territorio italiano. La dose massima d'esposizione delle sonde di rivelamento in nostro possesso, inoltre, quell'importante parametro presente sui datasheets forniti dalle case costruttrici, che esprime il numero massimo d'impulsi oltre il quale la sonda cessa di funzionare in modo lineare perdendo di precisione, sembrava essere ben all'interno dei valori massimi accumulabili nel corso della nostra breve permanenza in quota. Tutto questo anche in presenza d'eventuali flare solari non particolarmente energetici. Anche se questi si fossero manifestati durante un volo del progetto stratospera però, non avrebbero comportato particolari danni per l'hardware di rilevamento, ma probabilmente il solo esaurimento della sonda di misura, che avrebbe dovuto essere sostituita nel volo successivo. L'assenza riconosciuta d'eventuali basse propaggini delle fasce di Van Allen sui cieli italiani poi, abbassava ulteriormente i rischi a cui avremmo potuto intercorrere nel corso del volo. Arrivammo così ben presto alla conclusione che le radiazioni ionizzanti della stratosfera, quelle che saremmo andati a cercare in quota per misurarne l'entità, non avrebbero rappresentato un problema per il nostro esperimento.

Il problema rappresentato dalla temperatura e dalla depressione in quota ...
Nemmeno il crollo della pressione atmosferica della quota sembrava rappresentare un particolare problema di sorta per il nostro strumento e tutte le supposizioni effettuate in principio con il team, circa problemi d'ebollizione di liquidi contenuti nei condensatori elettrolitici o nelle batterie eventualmente installate sulle schede, andarono via via scemando. Le prove che effettuai personalmente attraverso una speciale campana di vetro collegata a una pompa a vuoto d'aria, infatti, dimostrarono ben presto che i componenti prescelti non erano per nulla suscettibili al fenomeno. Quando mi accinsi a estrarli, dopo un'esposizione al vuoto spinto di alcune ore, testandoli accuratamente a mezzo dei normali strumenti di misura, valutai subito che i loro parametri di funzionamento non avevano subito alcuna deriva. Rincuorati da questi dati quindi, cominciammo a concentrarci subito su l'unico problema che rimaneva davvero da affrontare: la temperatura dell'ascesa nella troposfera. Durante la salita del payload verso la stratosfera, infatti, questo parametro ambientale avrebbe potuto davvero compromettere il buon esito della missione. Sapevamo da grafici derivati da voli professionali, che la temperatura in quota dei primi strati d'aria dell'atmosfera, non erano certo benevoli e avrebbero potuto scendere anche in modo molto rapido a parecchie decine di gradi sotto lo zero. Questo problema fu valutato molto attentamente da tutto il team e non solo per proteggere la parte elettronica del payload, ma anche le batterie, le eventuali antenne riceventi (GPS e GPRS) poste all'esterno, i palloni ascensionali e il paracadute. Valutammo così il gradiente d'isolamento termico del vessel in polistirolo, che avrebbe dovuto contenere e proteggere il payload, arrivando ben presto alla conclusione che se non si fossero manifestate eventuali falle (soprattutto nella troposfera), anche la temperatura avrebbe rappresentato un non problema. Sapevamo infatti, che una volta passata la tropopausa e entrati nella stratosfera, grazie all'ozonosfera la temperatura sarebbe in parte risalita e il vuoto spinto presente a quelle quote, si sarebbe presentato come il nostro più fedele alleato, contribuendo con la forte depressione presente a ridurre le perdite di calore per convenzione, migliorando così l'isolamento termico nella fase più importante della missione.

La prima bozza del progetto "Radioattività in quota":
Valutati tutti i criteri di progettazione ambientale quindi, non restava che rispettare le specifiche imposte da Develer per volare a bordo del payload di Stratospera. Queste richiedevano le seguenti peculiarità:

- Peso contenuto di ciascun strumento (nell'insieme, da normativa ENAC dell'epoca, il payload non doveva superare i 6 kg, palloni, paracadute e batterie comprese); 
- Compatibilità con la scheda BSM-2 in termini di tensioni di funzionamento, segnali di comunicazione seriale/impulso e compatibilità elettromagnetica;
- Assorbimento in corrente il più piccolo possibile, minore se possibile di 100mA.

A quel punto quindi, Davide ed io plasmammo il primo abbozzo del nostro rilevatore Geiger, che battezzammo come consuetudine in campo aerospaziale con un acronimo riassuntivo, nel nostro caso: "HADARP" (High Altitude Data Acquisition Radioactivity Probe). Stando alle decisioni degli organi direttivi del progetto Stratospera, questo dispositivo avrebbe dovuto volare con il payload principale solo a partire dalla missione n°2. La n°1 era destinata al collaudo in quota della scheda di controllo principale BSM-2. Dato che quest'ultima avrebbe gloriosamente volato nella stratosfera nel mese di settembre dell'anno 2010 e dato che l'autunno e l'inverno andavano approssimandosi, avevamo a disposizione almeno sei/sette mesi per la progettazione e per la sperimentazione a terra del nostro primo prototipo. Ci rimboccammo sin da subito le maniche, cominciando ad analizzare i dati avvalorati su carta sino ad allora, nel corso degli estenuanti studi di fattibilità dei mesi prima, prefissando anche la finestra energetica e particellare, che la nostra sonda di misura avrebbe dovuto dispiegare al cielo durante il volo stratosferico di HADARP.

L'andamento della radioattività in quota ... cosa dovevamo aspettarci?
Stabilito che l'entità delle radiazioni della Stratospera non sarebbero risultate letali per l'hardware di HADARP, ci ponemmo immancabilmente un nuovo set di domande per entrare nel vivo del progetto. Che tipo di radiazioni avremmo potuto rivelare nella Stratosfera? Con quale entità quest'ultime avrebbero potuto agire sui nostri misuratori? Saremmo stati in grado di misurarle con sufficiente precisione, senza incorrere in una perdita d'informazione, causata magari della saturazione prematura della sonda stessa? Tutte queste domande avrebbero avuto presto una risposta! Nei mesi successivi all'apertura del nostro programma di progettazione, Davide e io cercammo di delineare il range di misura minimo e massimo, attenendolo il più possibile a quello che avremmo poi dovuto misurare nella stratosfera. Volevamo essere sicuri soprattutto, di non sottostimare il valore massimo che HADARP avrebbe potuto rivelare, imbattendoci così, magari proprio nella fase più concitata della missione, in un indesiderato blocco dello strumento. Questo sarebbe potuto nascere dal prematuro raggiungimento del fondo scala di misura. Onde delineare con precisione questo importante parametro quindi, cominciammo a studiare molto accuratamente le radiazioni provenienti dallo spazio. Appurammo per studi effettuati su siti web scientifici (prevalentemente di INAF e NASA), che gran parte delle radiazioni d'origine cosmica, vengono assorbite dai vari strati atmosferici che circondano il nostro pianeta, mediante la violenta interazione con le molecole di gas che compongono l'aria. Queste provocano nell'urto un rapido decadimento delle particelle ionizzanti provenienti dallo spazio, mutandole altra forma, con energie via via sempre più ridotte. Questo decadimento generalmente avviene con una frammentazione a pioggia, che cessa quasi completamente, più ci si avvicina alla superficie terrestre. Capimmo quindi, che dallo spazio giunge continuamente un flusso di particelle ionizzanti di tipo corpuscolare (protonielettroniparticelle alfa di origine solare, neutrini e in minima parte anche antimateriapositroni e antiprotoni), ma anche di tipo elettromagnetico (fotoni a varie energie che spaziano dai raggi X, ai raggi gamma). Questo mix particellare costituisce i "Raggi Cosmici", un flusso continuo di particelle di natura molto varia che colpisce continuamente il nostro pianeta e che trae la sua origine prevalentemente dal Sole, ma anche dagli eventi violenti della nostra Galassia e dell'Universo. Tra questi vanno certamente evidenziati l'esplosione di nove e supernove, nonché eruzioni energetiche immani provenienti da lontanissimi buchi neri e Quasar. Stabilimmo quindi, che la sonda di misura di HADARP avrebbe dovuto avere una finestra di ricezione sufficiente ampia, per rilevare gran parte di queste radiazioni. Ma quale rate avrebbero avuto nella zona di sorvolo di HADARP? A quali quote avremmo iniziato ad intercettarle? Servivano altre risposte. Osservando i grafici messi a disposizione dagli istituti di fisica nazionali e internazionali e che illustrano l'andamento della radioattività in atmosfera, non potemmo fare a meno d'osservare come questa avesse un andamento molto caratteristico e degno di nota. Se si pone l'altezza (in metri) sull'asse delle ascisse (x) di un piano cartesiano e i valori di radioattività in cpm (colpi per minuto) sull'asse delle ordinate (y), si osserverà che quest'ultimi partono da un valore molto basso (mai nullo) al livello del mare. Si mantengono poi sotto valori ritenuti pericolosi per la salute umana, per i primi 5/7000 metri di quota, per poi passare ad un rapido incremento raggiunti gli 8000. Si osserva poi che la radioattività raggiunge l'apice attorno ai 17/18000, per poi calare incredibilmente ancora, quando si sale a quote ancora maggiori. Se si osservano poi, eventuali diagrammi incrociati tra pressione atmosferica e radioattività in quota, ci si accorgerà che questo calo repentino, avviene pressoché nella zona dove inizia il vuoto spinto. Perchè avviene questo strano fenomeno? Come abbiamo detto in precedenza, quando una particella si scontra con le molecole d'aria, essa decade in una vera e propria pioggia di particelle ionizzanti secondarie. E' ovvio quindi, che esisterà una zona dell'alta atmosfera in cui questi processi complessi avverranno con maggior frequenza.

GraficoAndamentoRadioattivitaQuota

Questa zona è situata tra i 5000 e 20000 metri e spiega il motivo per cui i contatori Geiger in questa fascia rivelano un gran numero d'interazioni. Salendo più in alto invece, l'aria diventa molto più rarefatta e la probabilità che una particella ionizzante proveniente dallo spazio, possa scontrarsi con una molecola costituente l'atmosfera diventa decisamente più improbabile. Assenza di scontro quindi, si traduce in un mancato decadimento a catena della particella ionizzante in tante altre particelle secondarie, riducendo così in modo significativo, anche il numero d'interazioni che avverranno con le sonde Geiger dei misuratori inviati a quelle quote vertiginose. Si può quindi dire, che i conteggi rilevati oltre i 20000 metri, saranno dettati solo ed esclusivamente dallo scontro diretto tra la sonda e le particelle integre provenienti dallo spazio, secondo una vera e propria coincidenza probabilistica d'incidenza. Questa curva d'andamento quindi, indica che la dose d'esposizione massima la si ha paradossalmente dalla quota in cui volano gli aerei di linea, sino al punto in cui l'atmosfera terrestre cessa d'esistere con la dovuta consistenza. I valori di radioattività rivelati in discesa poi, si presentano perfettamente in linea con quanto spiegato sino ad ora per l'ascesa, ma con evidente andamento a ritroso. Per rivelare il valore di fondo scala di HADARP quindi, ci basammo sui dati forniti da questi diagrammi, fissandolo a 800 cpm (colpi al minuto) che si sarebbero tradotti in forma più elementare e per approssimazione a 14 cps (colpi al secondo) --> (cps = cpm/60). Il diagramma da noi consultato per fissare il valore massimo di rilevamento era stato ricavato da un misuratore Geiger professionale, che volava nella stratosfera nell'ambito di un programma di ricerca di fisica dell'atmosfera. Quei numeri quindi, ci rincuoravano parecchio. Sapevamo che erano stati forniti da enti prestigiosi, di cui ci si poteva fidare ciecamente. Degno di nota tra l'altro, il loro pallone volò di giorno nei cieli europei durante la fase di massima attività solare, questa avvenuta nel 2001, anche se comunque in un periodo privo d'importanti tempeste magnetiche, che potevano interessare il nostro pianeta.

HADARP: High Altitude Data Acquisition Radioactivity Probe:
Hadarp1.0LowTerminati positivamente gli studi di fattibilità del progetto HADARP eravamo fortemente desiderosi e motivati di salire al più presto nella stratosfera con il nostro esperimento, per poter finalmente misurare i dati di radioattività, presenti in alta quota. Quel che ci premeva di più in quei frangenti, infatti, era che il nostro strumento potesse ricavare al più presto, attraverso le misure memorizzate a bordo, la tanto bramata curva professionale d'andamento radioattivo. Per fare tutto questo però, era necessario dapprima creare il dispositivo elettronico di controllo e misura. Era venuto quindi il momento di scegliere il tipo di sensore che avrebbe dovuto rilevare attraverso un segnale elettrico, la presenza dei raggi cosmici nell'atmosfera sorvolata. Per motivi di peso, semplicità progettuale, ma anche di costo, optammo per un rivelatore di tipo Geiger-Mûller. Tra quelli disponibili sul mercato quindi, optammo subito per un LND712 dell'azienda LND Inc. di New York. Valutato attentamente il datasheet di questo probe, infatti, ci sembrò subito adatto allo scopo. Le dimensioni erano contenute, il costo non era eccessivo e pareva sufficientemente sensibile e "aperto" per riuscire egregiamente nell'impresa di misura, in cui ci stavamo cimentando. La finestra in mica anteriore che lo equipaggiava poi, avrebbe consentito di rilevare la presenza in quota di grossi nuclei, quali ad esempio, particelle alfa d'origine solare. Anche lo spettro energetico di rivelamento delle radiazioni beta, X e gamma ci sembravano nei canoni richiesti dal nostro progetto e quindi, eravamo certi che con questo tubo avremmo avuto una più che discreta sensibilità a gran parte delle radiazioni presenti in quota.

Scelta la sonda, quindi, ponderammo i parametri di funzionamento elettrici necessari a terminare la progettazione dell'hardware di HADARP. Questi erano stati così delineati:

- Funzionamento del dispositivo a 5Vcc con un assorbimento massimo di 100mA;
- Tensione di funzionamento della sonda a 500Vcc rispetto alla massa;
- Elaborazione dei segnali elettrici provenienti dal tubo Geiger-Mûller attraverso microcontrollore;
- Firmware sufficientemente complesso da compensare il down-time del tubo;
- Firmware sufficientemente complesso da rilevare anomalie di funzionamento interne e innescare all'occorrenza un reset del dispositivo;
- Trasmissione dei valori di radioattività rivelati, alla scheda BSM-2 attraverso il protocollo seriale RS232 con Baud Rate di 9600 bps;

Abbiamo così provveduto a disegnare il primo prototipo di HADARP che avrebbe volato su Stratospera 2. Battezzato con la sigla di HADARP 1.0, aveva le caratteristiche della foto posta qui sopra a sinistra ...

I cambiamenti in corso d'opera ...
Hadarp2.0LowMentre iniziavamo a compilare il primo abbozzo di firmware che avrebbe dovuto girare a bordo del microcontrollore di HADARP, un Microchip PIC16F876/20, Davide e io lavoravamo a stretto contatto telematico (email o skype) con i ragazzi di Develer, intenti anche loro a progettare la scheda di controllo principale di volo BSM-2. Per motivi progettuali e di semplificazione hardware, mirati soprattutto a prevenire guasti e anomalie durante il volo, il team specialistico di Develer decise d'inserire nella scheda BSM-2 alcune migliorie, che determinarono per noi un importante cambiamento in corso d'opera. Questo avrebbe riguardato il modo in cui HADARP sarebbe stato alimentato e controllato. In fase di primo progetto si era deciso che il nostro dispositivo avrebbe dovuto volare alimentato direttamente dalle batterie di bordo. Dato che il misuratore Geiger che andavamo a costruire però era ancora da collaudare in quota, si ritenne importante poterlo isolare dal resto dell'hardware in caso d'importanti anomalie. Appunto per questo, si decise d'inserire su BSM-2 un'apposita circuiteria, che oltre a gestire l'alimentazione elettrica di HADARP consentendone l'esclusione in caso d'emergenza, lo potesse fare anche durante la fasi più critiche del volo, quali ad esempio: lo sgancio in quota dei palloni e nelle fasi concitate dell'atterraggio. Anche lo scambio dei dati scientifici tra le due schede, che dapprima sarebbe dovuto avvenire utilizzando il protocollo seriale RS232, richiese per motivi di semplificazione hardware e software una modifica. HADARP avrebbe inviato i dati misurati sempre attraverso il protocollo seriale, ma trasmettendoli a livello logico TTL (0/5V). Preso atto che queste scelte erano senz'ombra di dubbio sensate, rivedemmo il nostro progetto, plasmando così a tempo record la nuova versione di HADARP che chiamammo per coerenza: 2.0. Aveva l'aspetto riportato nella foto posta qui sopra a sinistra.

Oltre a effettuare tutte le modifiche richieste dai ragazzi di Develer, dotammo HADARP 2.0 di un nuovo generatore di alta tensione. Lo stadio presente sulla versione 1.0, infatti, c'era sembrato in fase di collaudo un po' troppo leggerino. Per cercare di limitare il più possibile la corrente assorbita dal nostro dispositivo, infatti, avevamo progettato quest'ultimo con configurazione ad alta impedenza. Questa peculiarità tendeva a rendere un po' instabile l'oscillatore interno, soprattutto qualora si fosse verificata una diminuzione dell'isolamento complessivo della scheda, causato magari dall'umidità atmosferica. Tanto per capirci, se in fase di collaudo si toccava con un dito la parte viva dell'oscillatore, questo tendeva spesso ad arrestarsi, facendo così fermare la produzione dell'alta tensione e di conseguenza il funzionamento generale della sonda di misura. Per ovviare a questo problema inserimmo nel nuovo progetto un nuovo stadio HV (High Voltage), il cui schema (di tipo Royer) e i relativi componenti elettronici necessari, furono ricavati da un comune circuito CCFL in dotazione a un display LCD in mio possesso. La tensione AC (Corrente Alternata) generata da questo dispositivo era poi raddrizzata, filtrata e stabilizzata a 500Vcc da un'apposita circuiteria. Inserimmo nel circuito anche una EEPROM di tipo 24C08. Questa aveva lo scopo di memorizzare tutte le eventuali anomalie verificatesi durante il volo di HADARP in quota. L'apposito firmware presente nel microcontrollore del nostro dispositivo, infatti, era in grado di distinguere e memorizzare nella EEPROM con un codice guasto specifico e identificativo, ogni anomalia importante che poteva verificarsi, trasformando la memoria in una piccola ed efficiente "scatola nera". Questa nel post missione, avrebbe permesso a Davide e me d'identificare tutte le anomalie verificatesi, di studiarle, comprenderle, risolverle e prevenirle nei voli successivi. Un piccolo orologio digitale rappresentato dall'integrato DS1307, infine, completava il funzionamento della "scatola nera" assegnando un'ora precisa a ogni guasto verificatosi, permettendo così in fase di review, di poter identificare più facilmente in quale punto della missione si era verificato un problema.

Come si può vedere dalla foto, provvedemmo a rimuovere dalla scheda anche lo stadio adattatore seriale RS232, mettendo al suo posto un connettore specifico collegato direttamente alle porte UART del microcontrollore. Attraverso quest'ultimo avremmo effettuato il collegamento dati con la scheda BSM-2. Per le prove preliminari di laboratorio, dotammo HADARP 2.0 di due piccole interfacce volanti, che potevano essere installate su uno specifico connettore per collegare il geiger al computer di test. Uno specifico jumper, infine, a differenza di Hardap 1.0 che ne era sprovvisto, permetteva di regolare la tensione d'uscita della sonda su due livelli: 500Vcc oppure 400Vcc. Questa peculiarità consentiva al dispositivo di utilizzare in volo due tipi diversi di probe, rispettivamente: LND712 (di fabbricazione USA) e SBM20 (di fabbricazione Russa). HADARP ovviamente avrebbe consentito l'uso di un solo tipo di sonda alla volta.

Le prove effettuate in laboratorio ...
Quando la stesura del firmware fu completata ci trovammo di fronte alla necessità di collaudare il circuito al fine di dichiararne l'idoneità al volo nella stratosfera. Lo sottoponemmo così a cinque tipi di test:

- Stress dinamico;
- Stress termico;
- Stress del vuoto;
- Stress elettrico;
- Stress radioattivo.

Il primo test voleva evidenziare eventuali problemi strutturali del circuito. Durante l'ascesa verso la stratosfera, infatti, ma soprattutto durante il rientro a terra, HADARP sarebbe stato sollecitato meccanicamente a lungo. La centrifuga del rientro in caduta libera, il sobbalzo dell'apertura del paracadute e l'impatto col terreno al rientro, infatti, avrebbero potuto danneggiare il dispositivo. Per assicurarci che le saldature sul PCB fossero buone, così come l'integrità dei componenti elettronici utilizzati, inserimmo il nostro dispositivo in una busta di polistirolo espanso e lo sottoponemmo a 5 minuti abbondanti di centrifuga in lavatrice. Al termine del test, tornammo in laboratorio e alimentammo il circuito, verificando attraverso il computer, che Hadarp non aveva subito alcun danno. Preservammo da questo test per ovvi motivi, la sonda di misura.

Passammo quindi al test successivo che prevedeva d'inserire il dispositivo nel congelatore. Lo lasciammo per ben due ore esposto a una temperatura dii -25°C, per poi tornare successivamente al laboratorio per le verifiche di funzionamento. Sia la sonda geiger, sia il dispositivo di controllo elettronico, funzionarono impeccabilmente al primo tentativo di accensione, anche se, per colpa del gelo, erano ricoperti da un discreto strato di brina. Nemmeno un brusco abbassamento della temperatura, quindi, era stato in grado di danneggiare il nostro dispositivo. Questo ci faceva ben sperare ...

Il test successivo prevedeva di sottoporre Hadarp e relativa sonda al test del vuoto spinto. Disporre di una camera di simulazione d'alta quota per effettuare tutte le prove del caso non fu facile. Per fortuna, alcuni giorni prima di spedire Hadarp a Develer per l'integrazione sul payload di Stratospera 2, contattai un amico di vecchia data residente a Bologna, che messo al corrente delle mie necessità, mi permise di utilizzare la campana a vuoto che equipaggiava il laboratorio chimico della sua azienda. Giunto in loco, attraverso un'apposita pompa professionale d'aspirazione collegata alla campana, raggiungemmo nel giro di pochi minuti l'esile pressione atmosferica (circa 1 mBar), presente alla quota di 50 km. Grazie a un'apposita guarnizione passacavi che equipaggiava la campana, riuscii ad alimentare Hadarp durante il test del vuoto, verificando con il mio laptop che il dispositivo funzionava perfettamente anche alla quota simulata dell'anticamera dello spazio.

Arrivò così il momento di testare le possibilità risolutive dell'elettronica di controllo di Hadarp. Con questo test, infatti, volevamo dimostrare che sia il microcontrollore, che il relativo firmware, fossero perfettamente in grado di rilevare gli impulsi massimi teorici per cui li avevamo designati. Il test si svolse nel mio laboratorio di elettronica e per visualizzarne i dati, collegammo l'uscita dati di Hadarp a un convertitore RS232 di cui ci eravamo appositamente dotati per la fase di collaudo. Attraverso quest'interfaccia i dati sarebbero stati inviati a un pc, sul quale avrebbe girato un apposito software creato con Visual Studio per l'occasione. Per testare l'elettronica era necessario scollegare la sonda geiger. Questa infatti, trovandosi in un ambiente privo di radiazioni importanti, avrebbe potuto fornire al test, solo normali letture circa la presenza del fondo naturale. Al suo posto provvedemmo a collegare un GBF (Generatore di Bassa Frequenza), che avrebbe creato il treno d'onda necessario alla misura, con l'ampiezza e la frequenza desiderata. Nella foto qui sotto, i test elettrici effettuati nel mio piccolo laboratorio dell'epoca :-) ...

Hadarp2.0 TestElettricoHigh

Il test dimostrò che l'hardware e il firmware di Hadarp 2.0 funzionavano correttamente. Il dispositivo aveva una risoluzione sufficiente a campionare una radioattività molto elevata, valutata sino al sorprendete valore di 87,4 cps corrispondenti a ben 5244 cpm. Il valore dimostrava una grande accuratezza, dato che il GBF in quel momento, stava erogando una frequenza di 88 Hz. Avevamo quindi stabilito che Hadarp poteva benissimo rispondere con accuratezza a valori di misura anche molto alti. Ovviamente per questo test l'algoritmo di soppressione del dead-time ad opera del firmware era stato volutamente rimosso.

Hadarp2.0 TestElettronico SoftwareHigh

L'ultimo test è stato certamente il più ostico. Dopo aver dimostrato che l'hardware e il firmware di Hadarp 2.0 potevano gestire impulsi elettronici di frequenza elevata, era venuto il momento di dimostrare se questi avrebbe potuto farlo anche con impulsi che arrivavano al microcontrollore in modo caotico e molto ravvicinati tra loro. In sostanza era necessario vedere come il nostro dispositivo si sarebbe comportato in presenza di dosi abbastanza sostenute di radiazione. SorgentiReperire quest'entità nella vita di tutti i giorni però, non era fortunatamente una cosa fattibile! Non potevamo pensare però, di testare Hadarp durante il volo, anche perchè se qualcosa non avesse funzionato correttamente, potevamo saperlo solo nel momento in cui non era più possibile porvi rimedio. Un rischio troppo grande che non poteva essere contemplato. Servivano così delle sorgenti radioattive che potessero fornire le risposte che cercavamo. La faccenda non era priva di rischi e per aver dati attendibili occorreva il parere di un esperto. Grazie all'aiuto insostituibile di un caro amico di Bologna e del suo attrezzatissimo laboratorio d'analisi chimico-fisiche, potemmo accedere ad alcune piccole radiosorgenti calibrate, che grazie della presenza al loro interno di tre isotopi diversi, ci permisero di testare in tutta sicurezza Hadarp e la sua sonda geiger LND712. Le tre radiosorgenti erano di tipo pressofuso. Per capirci gli isotopi radioattivi erano sigillati all'interno di robusti contenitori in materiale plastico, che oltre a prevenirne la dispersione accidentale nell'ambiente, ne calibravano anche l'emissione particellare o elettromagnetica. La possibilità d'avvicinarmi a questo mondo scientifico che tanto mi appassiona sin da bambino, ha reso l'esperienza di quelle tre domeniche pomeriggio di misura, davvero elettrizzante! Sottoponemmo Hadarp a tre tipi d'emissione: alpha, beta e gamma. Per i raggi alpha utilizzammo il Polonio-210, per i beta lo Stronzio-90 e per i gamma il Cobalto-60. Sottoponemmo in tutta sicurezza lo strumento all'emissione di ciascuna particella, lasciandolo campionare per più di 4 ore. Anche in questo caso Hadarp mostrava una buona accuratezza, entrando nell'ordine di precisione del 5/6% rispetto a uno strumento di tipo professionale che per confronto, era stato acceso al suo fianco in quel frangente, per campionare più o meno le stesse emissioni. La precisione risultava davvero molto buona e degna di nota, soprattutto per un geiger come il nostro che rientrava per progettazione e costruzione tra i modelli amatoriali. Nel firmware di Hadarp, l'algoritmo che aggiungeva il criterio di correzione del dead-time del tubo alle misure in uscita era stato nuovamente abilitato, restituendo così al dispositivo tutta la sua acutezza visiva. Terminato il test "radioattività" eravamo davvero pronti per volare!

Integrazione di Hadarp 2.0 su Stratospera 2:
Il tempo stringeva! Le correzioni che si erano rese necessarie per adattare il nostro progetto alla nuova strutturazione sistematica di BSM-2, nonché tutti i test a cui volemmo assolutamente sottoporre il nostro dispositivo, ci portarono a concludere l'opera proprio alcuni giorni prima del lancio. Insieme all'amico Francesco Sacchi di Develer a quel punto, stabilimmo in quale sede del payload, Hadarp avrebbe dovuto essere collocato. Eravamo sicuri che l'involucro in polistirolo ricoperto dallo strato di mylar, per proteggerlo dal freddo estremo dell'ascesa, non avrebbe attenuato il flusso radioattivo energetico delle particelle da rilevare. Tuttavia, preferimmo per il primo volo che almeno la sonda fosse esposta all'esterno, rivolta verso l'alto (allo spazio), attraverso un buco del giusto diametro ricavato nella coperta termica. Se questa configurazione avesse dato qualche noia, nei voli successivi la sonda sarebbe stata posizionata all'interno. Fu con questi ultimi accorgimenti che nei giorni successivi, nei laboratori di Develer, Hadarp 2.0 prese posto su Stratospera2.

Il giorno del battesimo stratosferico:
Stratospera 2 prese il volo nella tarda mattina di sabato 14 maggio 2011, propulso verso il cielo da un solo pallone gonfiato a Elio. La giornata ben soleggiata e con poco vento a terra, faceva ben sperare tutto il team, di poter battere il record d'altezza raggiunto con Stratospera 1, ovvero: 27000 metri. Tutti i membri della squadra di lancio, compresi Davide e me, si erano ritrovati di buon'ora presso i prati di Greve del Chianti (FI), o più precisamente presso l'abitazione di campagna dell'amico Francesco Bonomi. Il lavoro frenetico d'assemblaggio del pallone culminò alle ore 14, quando il pallone con il relativo payload collegato, fu lasciato libero di raggiungere la stratospera. Da quel momento ogni dato dei sensori di bordo (Hadarp compreso) sarebbe stato memorizzato nella SD card della BSM-2, in attesa del successivo recupero. Ci si augurava che questo sarebbe avvenuto solo dopo alcune ore di volo, durante le quali, il pallone avrebbe raggiunto la quota massima, avrebbe sganciato autonomamente il pallone e sarebbe atterrato da qualche parte in Italia, appeso al suo paracadute. La posizione del touch-down sarebbe stata segnalata al team attraverso un SMS, che avrebbe contenuto le coordinate GPS della posizione effettiva di touch-down. E così avvenne! Dopo aver raggiunto i 20123 metri d'altezza e aver compiuto uno spostamento orizzontale di ben 72 km, il team di Stratospera recuperò il payload e il prezioso carico di dati, nei pressi di Santa Maria Tiberina in provincia di Perugia. Tutti eravamo ansiosi di vedere le immagini e i video del volo, ma ancora di più di poter osservare l'andamento delle misurazioni effettuate dai sensori di bordo. Nella SD card della scheda BSM-2 era custodito questo piccolo tesoro, il nostro tesoro, che iniziammo ad analizzare direttamente sul luogo del ritrovamento. La missione si dimostrò subito un successo! La vertiginosa quota raggiunta mostrava nelle foto e nei video tutta la sua bellezza. Appariva molto bene la curvatura terrestre, intrisa di un blu candido macchiato solo in parte dal marrone della terra e dal bianco delle rare nuvole in circolazione. Un cielo nero come la pece, straziato da un accecante Sole bianco, completavano quel quadro alieno ma estremamente affascinate! Anche quella volta avevamo raggiunto l'anticamera dello spazio! All'interno della SD card era presente anche un file molto interessante, che il sistema operativo del PC indicava essere cresciuto un bel po' in dimensioni, dall'ultima volta che l'avevamo visto. Era il file che conteneva i dati dei sensori di bordo. Tra questi erano presenti i valori di temperatura interna e esterna al payload, di pressione atmosferica, di posizione del pallone (GPS), d'altezza progressiva raggiunta, dell'umidità relativa, dei consumi energetici, delle accelerazioni subite dal payload e ultimo ma per me molto importante, di radioattività. Fu per me una nota molto dolente, scoprire che mentre tutto il resto della sensoristica aveva eseguito ottimamente il proprio compito, Hadarp, aveva invece subito, per un qualche oscuro motivo una strana avaria. I dati di radioattività erano presenti, mostravano chiaramente l'andamento di quest'ultima in proporzione alla quota, ma per una qualche strana ragione, assumevano a un tratto dell'ascesa un formato assurdo, per poi tornare nuovamente a posto durante la discesa. Quella fu per Davide e me una grande delusione. L'esperimento su cui tanto contavamo e sul quale c'eravamo tanto prodigati aveva fallito in parte il suo compito, funzionando correttamente per solo il 70% della missione. Sapevamo benissimo che Stratospera 2 rappresentava il collaudo in volo di Hadarp e tutti quelli del team ce lo ricordavano continuamente, ma sinceramente, dopo i numerosi collaudi effettuati a terra, non ci aspettavamo un margine di fallibilità così grande. Prima di rientrare a casa, aiutato dall'amico Francesco Sacchi, scaricai sul mio laptop tutti i dati di Stratospera 2, recuperando la scatola nera di Hadarp (la EEPROM) e assicurandogli che a breve, avrei fornito una risposta su quanto era accaduto. Ero fortemente motivato nel post missione a far luce sulla faccenda. Tutti i dati della missione, possono essere scaricati e analizzati a questi link:

- Esame della traiettoria seguita dalla sonda;
- Esame approfondito dei dati.

Stratospera 2: l'analisi post missione:
Quando rientrai a casa nei giorni seguenti, iniziai ad analizzare i dati con l'appoggio insostituibile di Davide. Con l'aiuto di excel e dei suoi grafici, cominciai a mettere in correlazione le misure di Hadarp con quelle degli altri sensori. Desideravo appurare in quale preciso momento lo strumento fosse uscito dalla linearità, entrando nella fase di stallo e se questa configurazione fosse stata raggiunta per un qualche motivo particolare. Confrontai dapprima i dati di radioattività con l'altezza raggiunta. Notai che i conteggi di Hadarp erano cresciuti normalmente per gran parte dell'ascesa, proprio in linea a quanto ci si sarebbe aspettato con la quota. Questo andamento regolare però, s'arrestava alla quota di 18980 metri, quando, per un motivo misterioso, la lettura era schizzata da 552 cpm medi, ai 6834 cpm. In contemporanea all'aumento improvviso d'attività, si era registrato anche un'impennata dei consumi elettrici. La corrente assorbita dal payload, misurata costantemente dall'amperometro di BSM-2, schizzava improvvisamente da 150 a 284mA: era pertanto raddoppiata! Ovviamente, i due fenomeni dovevano per forza di cose essere strettamente correlati. Quello che risultava più assurdo poi, era il fatto che le misure di radioattività, seppur di valore anomalo, continuavano a essere rilevate, attestandosi a picchi improvvisi di ben 7158 cpm e mantenendosi in quello stato per tutto il periodo di permanenza sopra i 16000 metri, pertanto, ahimè, anche alla quota massima raggiunta, corrispondente ai 20123 metri. Improvvisamente, durante la discesa del pallone verso terra e raggiunti i 15767 metri, le misure di Hadarp rientrarono nella norma e il problema che aveva appena destabilizzato lo strumento ... sembrava scomparso. Anche i valori della corrente erogata dalle batterie di bordo erano rientrati nella norma, evidenziando l'avvenuta estinzione dell'anomalia.

STS2 Rad High HR

Era chiaro quindi, che il dispositivo non si era rotto, ma per un qualche oscuro motivo era "semplicemente e pericolosamente" uscito dalla linearità di funzionamento. Analizzando le letture prive di senso poi, intervallate da numerose interruzioni nella trasmissione dei dati tra Hadarp e la scheda BSM-2 (contrassegnate dai valori -1), era chiaro che il firmware aveva più volte tentato di ripristinare il dispositivo, resettandolo più volte e inserendo nella "scatola nera" di Hadarp i codici errore "R" e "S" a più riprese.

Analizzando il firmware di Hadarp e i relativi codici di errore, arrivai subito alla conclusione che il problema verificatosi corrispondeva a un sovraccarico di corrente nello stadio High Voltage. Mentre il codice "R" identificava una condizione d'avvenuto reset, il codice "S" indicava univocamente che si era verificato in volo un'esplicabile calo di potenza dal lato della sonda Geiger. Alcune ore dopo questa logica constatazione, l'amico Francesco Sacchi mi scrisse dalla Toscana, informandomi d'aver analizzato alla lente d'ingrandimento il circuito stampato di Hadarp 2.0 e di avere evidenziato sul circuito stampato, proprio dal lato dell'alta tensione, le chiare tracce di un arco voltaico tra due piste. I tasselli del puzzle cominciavano a delineare l'immagine finale del quadro: questo non era affatto bello!

STS2 Arco LRDato che nei giorni prima del volo avevamo testato a lungo il circuito in tutte le condizioni possibili, ero rimasto esterrefatto dall'accaduto, soprattutto quando, visualizzando sul pc le foto di Hadarp che provenivano da Develer, mi resi veramente conto della gravità del fatto accaduto e di quanto quel fattaccio avesse potuto mettere in serio pericolo le batterie di bordo e l'intera missione. Da buon elettronico mi tremarono davvero le vene ai polsi. Non capivo come piste che erano state dimensionate accuratamente in fase progettuale, per isolare tensioni sino a 650 volt (la tensione normale d'esercizio era di 500), avessero potuto in volo, nell'aria rarefatta dell'alta atmosfera, innescare un arco voltaico in modo così subdolo. Pensavo che se l'avessero fatto in quota, allora avrebbero dovuto farlo anche a livello del mare, durante le normali prove di laboratorio ... invece no, in linea con le peggiori previsioni della storica frase: "se una cosa può andar male, stai pur tranquillo che lo farà nel momento peggiore possibile!" Tutto questo sembrava non avere un senso e volevo arrivarci a fondo ...

Cominciai così a confrontare nuovamente i dati a disposizione, equiparando i valori di radioattività con la temperatura esterna. Fu evidente sin da subito però, come i segni di squilibrio nelle misure di Hadarp fossero arrivati quando la temperatura esterna non corrispondeva con la minima raggiunta. Anzi, s'innescarono quando questa era leggermente risalita, attorno ai -21°C della stratosfera. Nemmeno la pressione e l'umidità sembravano coinvolte; queste avevano fluttuato continuamente anche alle quote minori, senza però rendersi causa di anomalie in Hadarp. Arrivai alla conclusione che probabilmente fu una corresponsabilità di tre fenomeni: freddo intenso, vuoto atmosferico e umidità dell'aria.

Attraverso il foro presente nella coperta termica, infatti, proprio quello da cui faceva capolino verso l'esterno la sonda LND712, era penetrata all'interno del vassel dell'aria gelida. Questa, con il suo carico di umidità, aveva interessato subito il pcb di Hadarp, che per motivi di cablaggio trovava posto nelle immediate vicinanze del foro. Entrato all'interno, il freddo aveva congelato l'umidità dell'aria sulla parte dedita all'alta tensione, che per orientamento del pcb si trovava proprio da quella parte. Il debole calore generato dai componenti elettronici in funzione poi (bisogna ricordare che per tutto il volo la temperatura interna al vassel non era mai scesa sotto i +5°C) aveva sciolto un po' della brina generatasi, facendola penetrare nel circuito stampato sotto forma di condensa e innescando così l'arco voltaico. Il forte calore generato dalla scintilla avrebbe in seguito contribuito ad accelerare l'evaporazione della rugiada, smorzandone definitivamente l'effetto alcune decine di minuti dopo. Probabilmente parte della condensa incriminata era protetta dall'evaporazione nel vuoto atmosferico dal sottile strato di ghiaccio che era venuto a formarsi in precedenza, che oltre ad averla generata, la sovrastava e la proteggeva. Ma come poteva dell'acqua distillata favorire il passaggio della corrente in quel punto? Non si è sempre detto che questa è un cattivo conduttore di cariche elettriche? Forse lo era prima di riversarsi sul pcb ... Una volta raggiunto lo strato sottostante aveva probabilmente disciolto il contenuto ionico derivato dai residui di percloruro ferrico e flussante, entrambi agenti chimici utilizzati per la preparazione del circuito stampato di Hadarp in laboratorio.

La tesi era affascinante e per il momento rasentava a mio avviso quella più logica. Archiviai quindi la questione, con la promessa che dalle successive missioni, sarebbe stato assolutamente necessario dotare l'esperimento Hadarp di un fusibile di sicurezza da 100mA, che in caso di sovraccarico avrebbe escluso permanentemente l'esperimento, salvaguardando così le batterie di bordo. Confidai, inoltre, su una preparazione più ordinata e pulita dei circuiti stampati destinati al progetto Stratospera, che avrei sottoposto a severi turni di lavaggio pre-missione, anche utilizzando solventi dediti alla rimozione totale dei residui di produzione. Stabilii, infine, che da quel momento in poi, la sonda LND712 avrebbe volato per precauzione, racchiusa all'interno del vassel. Nei giorni successivi, quando tutti i dati della missione furono resi pubblici, venne pubblicato anche il video girato in quota dalla telecamera di bordo, che rafforzò ulteriormente la mia tesi sull'arco voltaico, come responsabile del fallimento parziale di Hadarp. Essendo questa dotata di microfono, infatti, aveva captato e registrato dal minuto 06:55 l'inequivocabile ronzio tipico di una scarica elettrica in corso ... ascoltare per credere: http://www.stratospera.com/archives/1105 

In ultima analisi, escludendo i dati anomali registrati durante il volo alla massima quota e facendo finta di non aver corso nessun rischio importante con le batterie di bordo, si può reputare l'esordio di Hadarp abbastanza soddisfacente. Se analizziamo attentamente la curva dei dati di radioattività, a cui è stata volutamente decurtata la fascia d'incertezza derivata dal problema tecnico, si può facilmente vedere il tipico andamento che ci si aspetta in quota. Dal grafico di seguito riportato è possibile osservare molto bene come i picchi massimi registrabili si manifestino attorno alla quota media di 15000/18000 metri, poco al di sopra della zona in cui volano gli aerei di linea commerciali.

STS2 RadOk HR

Questa è la quota, infatti, in cui i raggi cosmici provenienti dallo spazio interagiscono maggiormente con il mantello atmosferico del nostro pianeta. L'amico Luca Di Fino, ricercatore scientifico del CNR di Roma, ha analizzato i dati di Hadarp in volo su Stratospera 2 e 3. Potete leggere la sua recensione cliccando qui. Il rapido declino dei valori di radioattività nella curva di discesa, sono dovuti alla maggiore velocità con cui il pallone si muoveva durante questa fase. Durante la salita il payload era appeso ai palloni e saliva lentamente. Durante la discesa, invece, sino a che il paracadute non è stato dispiegato nell'atmosfera più densa della bassa quota, il payload acquisiva i dati in un volo molto più veloce, dovuto alla caduta libera verso terra.

I problemi riscontrati durante il volo di Stratospera 3 
I problemi di Hadarp non finirono con il volo di Stratospera 2. La strada buona che portò al collaudo finale del dispositivo, avvenuto durante il volo di Stratospera 4, richiese per realizzarsi ancora un fallimento. Il giorno di sabato 10 settembre 2011 una nuova versione di Hadarp, la 2.0 beta, partiva per la stratospera con un circuito elettronico migliorato e semplificato ulteriormente. Dopo essere stato ricostruito interamente, fu sottoposto a un lungo periodo di lavaggio in alcool isopropilico, con l'ovvio scopo di eliminare ogni traccia chimica della fabbricazione. In fase progettuale inoltre, quel periodo in cui si disegna il master del circuito stampato, avevo tenuto largo conto del pericolo di archi voltaici e pertanto avevo aumentato a dismisura la distanza delle piste di massa rispetto a quelle HV. Tutti questi accorgimenti erano mirati a eliminare completamente i problemi visti con Stratospera 2. Al momento del lancio quindi, Davide e io eravamo fiduciosi che questa volta tutto sarebbe andato per il meglio. I calcoli teorici di traiettoria eseguiti dal team in fase di pre-lancio, indicavano che il pallone non avrebbe dovuto allontanarsi molto dalla zona di decollo. L'esame dei venti in quota poi, portava a credere che con il giusto riempimento in elio, sarebbe stato possibile quel giorno, battere il nostro record d'altezza. L'ottimismo, quindi, non mancava di certo! Il pallone di Stratospera 3 insieme al suo piccolo carico scientifico, lasciò il campo di Greve del Chianti alle ore 12:05, decollando velocemente verso un cielo terso di fine estate. Atterrò nei pressi di Montecoronaro in provincia di Forlì alle ore 16:56 dopo ben quattro ore di volo e uno spostamento orizzontale di 61,3 km. La fase di recuperò rasentò davvero la linea dell'impossibile. Il payload era atterrato in una zona impervia dell'appennino romagnolo, proprio in prossimità di un alto calanco terroso. Il fatto che il paracadute rimase impigliato in un ramo d'albero poi, costrinse le squadre di recupero ad arrampicarsi su quest'ultimo per raggiungerlo. Per fortuna l'opera si svolse nel migliore dei modi e nessuno si fece male. Al momento dell'apertura del payload la tensione era alle stelle. Lo era soprattutto per Davide e me che quel giorno, causa problemi famigliari e di lavoro, non potemmo assistere al lancio e attendavamo pertanto al cellulare la conferma dell'avvenuto recupero. Da una prima analisi in loco, sembrava che il payload non avesse subito alcun danno e la missione fosse andata a buon fine. A confermare tutto, fu come al solito il prezioso pacchetto dati contenuto nella SD card di bordo, completo del suo carico di foto e video provenienti dalla fotocamera. Il primo dato ad essere verificato dal team fu ovviamente l'altezza massima raggiunta dal pallone, che risultò incredibilmente pari a 39614 metri! Avevamo battuto clamorosamente il nostro record, collocandoci all'epoca, al primo posto per altezza raggiunta da palloni amatoriali nella classifica italiana e al quarto in quella mondiale. Per me la doccia fredda arrivò più tardi quando entrai in possesso dei dati rilevati da Hadarp. Questa volta il nostro dispositivo si era comportato meglio, ma da una prima analisi, sembrava che lo zampino del fallimento, questa volta, ce l'avesse messo la quota. Durante il volo d'ascesa le letture seguirno la linearità che ci si aspettava, almeno sino alla quota di 27716 metri. Improvvisamente, come ormai era consono, queste cessarono di avere un senso, passando da un valore di 570 cpm (reputabili un valore attendibile) a un assurdo 5916. Questo aumento improvviso si ripercosse per altre due letture almeno, per poi concludersi con un reset del microcontrollore provocato da sovraccarico (in memoria erano presenti i guasti "S" e "R"). Misteriosamente e diversamente dalla missione precedente in cui le letture si ripresero dopo un po', da quel momento in poi il valore delle letture diminuì bruscamente, registrando una diminuzione dei valori di radioattività di almeno 300 punti sui valori che dapprima li avevano preceduti. Mantennero questa media per un altro centinaio di letture per poi tornare incredibilmente alte per alcuni secondi soltanto, sino ad annullarsi completamente. Dalla quota 34614 metri nessun valore di radioattività era stato più rilevato, se non piccoli e sporadici numeri senza alcun senso campionati a quote ancora maggiori.

STS3 Rad High HR

Qualcosa di anomalo quindi, era successo anche stavolta. I valori uguali a zero rilevati dalla quota di 34614 metri, facevano capire che il firmware del dispositivo era ancora in funzione dopo il verificarsi della prima anomalia, ma non sembrava esserlo invece, lo stadio elettronico generatore della misura. Siccome in memoria non erano presenti guasti di tipo "L", quest'ultimi indicatori della mancanza totale dell'alta tensione destinata al tubo Geiger, arrivai ben presto alla conclusione che a rompersi doveva essere stato proprio quest'ultimo. Cominciai a ponderare l'idea che il tubo prescelto nella fase progettuale iniziale, LND712, non fosse assolutamente idoneo alla misura di valori così elevati di radiazione. Forse la causa dell'ultimo fallimento dipendeva proprio da questo delicato dispositivo. Mi venivano i brividi a pensarci. Furono ancora più grandi quando analizzai a fondo il datasheet della sonda, nel quale il costruttore, avvisava gli utilizzatori che il tubo, se esposto ad elevate dosi di radiazione, avrebbe potuto esaurire molto velocemente la sua vita utile. Il quadro appariva scioccante! Il progetto Hadarp poteva aver fallito la sua seconda prova, a causa della vita utile della sonda di misura. Mi pareva pertanto plausibile a quel punto, che durante il volo di Stratospera 3, l'eccessiva radiazione incidente, perpetrata sul tubo più a lungo rispetto al volo precedente di Stratospera 2, dalla maggior durata della missione in quegli ambienti proibitivi, aveva innescato al suo interno una violenta opera d'usura. Questa si rese nettamente visibile nelle letture anomale registrate, che questa volta, non furono provocate da un arco sul pcb, ma da un devastante effetto plateau scaturito all'interno del tubo. Questo fenomeno, una sorta di configurazione instabile raggiunta dalla sonda, si manifesta con la ionizzazione totale dei gas nobili interni, per merito della fortissima radiazione incidente, che nei casi più gravi risulta prettamente in grado di cortocircuitare tra loro i poli del tubo, con tutti gli effetti visti in missione. I valori pari a zero registrati successivamente dal microcontrollore di Hadarp, erano indice di come il tubo a quel punto si fosse definitivamente guastato o molto più semplicemente: esaurito al punto, da non riuscire a rilevare più alcuna radiazione. La finestra anteriore in mica che equipaggiava la sonda LND712 inoltre, poteva aver giocato un ruolo chiave sull'ultima avaria registrata. Questa si sarebbe comportata come una vera e propria porta d'accesso, favorendo l'ingresso nel tubo di moltissime particelle a bassa e media energia, che nella fascia atmosferica dove si manifestarono i problemi, erano senz'ombra di dubbio le più diffuse, a causa delle disgregazioni esponenziali ad opra dell'aria che avvengono in quelle zone. Infine, completarono l'opera le particelle ad alta energia, presenti anch'esse in un numero crescente più il pallone saliva di quota. Se si considera in ultima analisi, che il tubo Geiger che volò su Stratospera 3, fu lo stesso che volò su Stratospera 2, l'ultimo tassello del disastro viene inserito! Mi resi conto solo a missione conclusa, che caricammo su Stratospera 3, un tubo Geiger già fortemente provato dai rigori ionizzanti del volo precedente. Il suo stato di salute doveva essere davvero non buono. Le misure che effettuammo i giorni prima del lancio non evidenziarono nulla di particolare, ma tutto questo avvenne, solo perchè fu testato alla semplice radiazione di fondo dell'aria, che nulla aveva a che fare, con l'alta radiazione che si sarebbe presentata una volta raggiunta la stratosfera. In poche caustiche parole, Davide e io reputammo il fallimento di Hadarp 2.0 su Stratospera 3, come un evento provocato dall'esaurimento finale di un tubo Geiger, che era, sia inadatto allo scopo per cui l'avevamo proposto, sia compromesso gravemente dalle attività precedenti. I valori registrati durante la missione n°3, però permettevano di evidenziare ancora una volta la bontà del firmware d'analisi di Hadarp, che come indicato dall'amico Luca Di Fino, evidenziava la ripetibilità scientifica delle misure. Se si confrontano i valori ricavati dalle due missioni, infatti, si nota una certa similitudine delle misure, con andamento delle curve più o meno equivalente.

Hadarp2 3 HR

Analizzando i valori ricavati da Hadarp durante il volo di Stratospera 3 inoltre, è davvero possibile valutare quale sia la fascia atmosferica più ricca di radiazioni. Questa è compresa tra i 10000 e 20000 metri. E' impressionante notare poi, come dalle quote superiori i valori di radioattività tendano nuovamente a diminuire, in accordo con la diminuzione della densità atmosferica. Diminuendo le molecole d'aria, infatti, diminuiscono anche le interazioni con le particelle radioattive, che nella collisione vengono disgregate a cascata, aumentando i valori rilevabili dai Geiger nelle quote più basse. Oltre i 22000 metri, quindi, le uniche radiazioni rilevabili, sono quelle generate dalle particelle in arrivo dallo spazio, che collidono con gli strumenti di misura solo per coincidenza statistica di traiettoria.

La nascita di Hadarp 3.0:
I giorni successivi al volo di Stratospera 3 cominciai con l'aiuto di Davide a ripensare completamente il progetto. Avevamo intenzione di valutare attentamente i dati in nostro possesso, delineando in questo modo la nuova configurazione che avrebbe dovuto assumere il dispositivo nelle missioni successive, onde evitare i problemi ormai noti. Con due voli all'attivo e un bel po' di dati sottomano, avevamo davvero questa volta, l'opportunità di puntare al successo, costruendo il dispositivo definitivo, che avrebbe volato nella stratosfera senza più alcun genere di problema. Decidemmo come prima cosa di cambiare la sonda di misurazione, optando per una di tipo "chiuso" e sensibile solo a radiazioni di una certa entità. La scelta ricadde sul tubo SMB20, un probe di fabbricazione russa sensibile ai raggi beta, ai raggi X e ai raggi gamma. Questa scelta c'impose però d'apportare numerose modifiche all'hardware di Hadarp, che da quel momento avrebbe avuto a bordo un nuovo stadio reazionato a 400V per l'alta tensione e un nuovo microcontrollore a 8 bit semiprofessionale sempre della famiglia Microchip, siglato PIC18F1320. Anche gli aspetti strutturali ed estetici avrebbero subito importanti migliorie. Volevamo innanzitutto evitare completamente la formazione degli archi elettrici e non da meno, dei disturbi che questi avrebbero potuto infliggere all'hardware di controllo. Ci rendemmo conto quindi, che per evitare tutto questo e viaggiare con ampi margini di sicurezza, servivano due pcb separati. Uno per l'elettronica di controllo gestionale e un altro che contenesse il generatore dell'alta tensione. Per limitare le dimensioni e il peso del dispositivo, decidemmo che i circuiti sarebbero stati assemblati tra loro a sandwich. Forgiammo così a tempo record Hadarp 3.0. Questo era a doppio pcb interconnesso e una volta terminato, assomigliava fortemente a un piccolo parallelepipedo. Per onorarne la forma tridimensionale, decidemmo di battezzarlo con il nome di: Hadarp 3D.

Hadarp3D

Stabilimmo in fase progettuale, che il pcb posto al piano terra avrebbe contenuto lo stadio di distribuzione dell'energia e quello generatore dell'alta tensione. Al primo piano, invece, avremmo collocato la logica di controllo, il tubo Geiger e i circuiti dediti alla trasmissione esterna dei dati rilevati. A differenza delle configurazioni precedenti poi, dove la sonda LND712 volava distaccata dalla circuiteria di controllo, alimentata attraverso un sottile e lungo doppino in rame, su Hadarp 3D, la sonda SBM20 avrebbe preso posto in un luogo molto più sicuro e solido, ovvero, montata direttamente sul circuito stampato del dispositivo. Attraverso l'uso di due robusti connettori specifici a molla, infatti, l'avremmo preservata meglio dai rigori ambientali esterni e cosa non da meno, avremmo reso l'aggancio più duraturo rispetto a quello dei voli precedenti. Le due schede erano collegate tra loro, attraverso un flat bus (per i dati a bassa tensione) e attraverso un apposito cavo a doppio isolamento, per convogliare da un piano all'altro l'alta tensione destinata all'anodo della sonda Geiger. Per prevenire la formazione di archi voltaici, infine, decidemmo in ultimo d'inserire tra il pcb posto al piano terra e quello posto al primo piano, un'ulteriore piastra in vetronite. Questa, completamente priva dello strato in rame iniziale, avrebbe avuto lo scopo d'isolare ulteriormente, in modo precauzionale, lo stadio di controllo da quello ad alta tensione. La rimozione del rame in eccesso da tutte le schede, inoltre, permetteva di diminuire in modo significativo anche il peso del dispositivo stesso.

Hadarp3D Label

Il firmware del microcontrollore di Hadarp, infine, fu ulteriormente semplificato e migliorato. Nella versione 3.0 il rilevamento e il conteggio degli impulsi radioattivi fu affidato ai contatori hardware interni del microcontrollore 18F1320 (TRM0 e TRM1). Questi, a differenza di Hadarp 2.0 dove il conteggio era affidato ad una semplice routine firmware sollecitata a contare, dal cambiamento di livello elettrico su un banalissimo pin d'accesso del microcontrollore, avrebbero reso più affidabile e precisa la misurazione. Il contatore TMR0 (a 8 bit) era stato designato a contare gli impulsi provenienti dal tubo Geiger, mentre TMR1 (a 8+8 bit) avrebbe tenuto la base dei tempi di misura, generando un interrupt, quando il lasso di tempo massimo stabilito del campionamento, fosse trascorso. Per alleggerire ulteriormente il firmware di Hadarp 3D, decidemmo di trasferire al processore della BSM-2, l'algoritmo d'eliminazione del downtime del tubo Geiger. In soldoni da quel momento, tutti i valori presenti sull'uscita seriale di Hadarp 3D non erano più privi di questo errore. Veniva quindi annullato a livello software dal processore centrale della scheda BSM-2, questo, prima di essere memorizzato sulla scheda SD. Le funzioni di controllo e misura dell'alta tensione vennero anch'esse migliorate. Questo cambiamento venne ottenuto implementando nell'hardware un'apposita circuiteria di controllo a reazione, il cui oscillatore era comandato direttamente dal generatore PWM, presente anch'esso all'interno del microcontrollore 18F1320. Dal firmware di Hadarp 2.0 importammo solamente le routine "scatola nera" che con il relativo database degli errori, avrebbe continuato a vigilare e registrare tutte le anomalie di volo. Per alleggerire la circuiteria e l'assorbimento di corrente complessivo, quest'ultima memorizzazione sarebbe stata affidata alla EEPROM interna del PIC18F1320. Una nota molto importante, la nuova configurazione hardware e software raggiunta aveva permesso di ridurre ancora di più i consumi energetici del dispositivo portandoli a soli 24 mA d'assorbimento, nella fase "Fly in progress".

Il volo di Hadarp 3D su Stratospera 4:
Se al volo di Stratospera 3 Davide e io mancammo per problemi di famiglia e di lavoro, al lancio di Stratospera 4 mancammo purtroppo a causa del terremoto che nel maggio 2012 sconvolse l'Emilia Romagna. Nonostante il brontolio ininterrotto della terra però, in quei mesi riuscimmo a completare il lavoro per tempo e Hadarp 3D fu a spedito a Develer, giusto appunto per essere testato e assemblato nel payload del velivolo. Già da alcuni mesi circolava la voce nel team, che la missione Stratospera 4 non sarebbe stato un volo di routine. Il pallone, infatti, avrebbe lasciato Greve del Chianti con nuove e importanti novità. Una su tutte l'esperimento Polifemo. Progettato e costruito dagli amici Marco Zambianchi e Giampietro Ferraio, questo dispositivo consisteva in una piattaforma sperimentale di ripresa grandangolare, ispirata a quella che aveva volato a bordo della missione amatoriale inglese: HADIE (Hadie High Altitude Balloon Project). Basata su una scheda Arduino Ethernet con interfaccia microSD e mini-fotocamera seriale TTL, lo scopo del dispositivo sarebbe stato quello di riprende immagini a colori e in bianco e nero (con risoluzione 640x480 e con un campo di veduta di 120°), del cielo nero sovrastante i palloni e non da meno, l'eventuale scoppio in volo degli stessi, con relativo scarico in quota ad opera dei dispositivi di cutoff. Grazie a un'apposita interfaccia elettronica inoltre, questo dispositivo avrebbe lavorato in simbiosi con la fotocamera principale di bordo e la scheda BSM-2, memorizzando il prezioso carico d'immagini nella propria SD card.

L'altra novità importante per questa missione, interessava l'apparato propulsivo del pallone. Per battere il record d'altezza raggiunto durante la missione n.3, infatti, il team di Stratospera aveva deciso in ultimo di salire più velocemente rispetto ai voli precedenti. Non solo, per evitare che il pallone principale esplodesse prima di raggiungere quel primato, era stato deciso che il payload avrebbe volato propulso da ben tre palloni. Il profilo d'ascesa calcolato al computer consultando le previsioni del vento in quota, infatti, incoraggiavano l'opera e sembrava cha anche nelle peggiori previsioni possibili, il payload sarebbe stato impossibilitato a finire sul mare.

All'alba di sabato 26 maggio 2012 quindi, il payload di Stratospera 4 sospinto verso l'alto da un carico multiplo di palloni, decollava da Greve del Chianti per una nuova ed entusiasmante avventura. Il nostro esperimento questa volta, era stato collocato all'interno del payload. Lo scopo principale di questa scelta era quello di proteggerlo dai rigori atmosferici, con la piena speranza che quest'importante accorgimento, lo preservasse dai notevoli problemi visti nel corso dei voli precedenti. Come di consueto, tutti i dati sarebbero stati memorizzati nella SD card della BSM-2 e avremmo potuto recuperarli solo una volta che, terminato il volo, avremmo ricevuto il tanto atteso SMS con la posizione GPS dell'atterraggio. L'attesa stavolta fu lunga e snervante. Con i software di simulazione il team di Stratospera, aveva previsto l'atterraggio alle ore 9.30 nei pressi di Radicondoli (PI). In realtà però, ricevemmo il messaggio di touch down solo alle ore 11 del mattino, ben un'ora e mezzo dopo. Le coordinate geografiche ricevute per SMS inoltre, indicavano che il pallone aveva preso terra nei pressi di Paganico (GR) ben 50 km a sud rispetto al punto d'atterraggio previsto. Il payload fu raggiunto così solo alle ore 14.30, al limite della durata massima delle batterie interne. Come di consueto la prima cosa fatta dalla squadra di recupero, fu quella di verificare che il payload non avesse subito danni all'atterraggio. S'appurò che come si era visto al primo lancio, i brandelli dei palloni erano rimasti attaccati al payload, dimostrando che a causa di un ingarbugliamento dei cavi, il dispositivo di cutoff non era riuscito a fare il suo dovere. Questa cosa spiegava il ritardo avuto nell'atterraggio; il payload, infatti, era riuscito a scendere solo una volta che i palloni erano esplosi a causa della drastica diminuzione della pressione atmosferica dovuta alla quota. Anche il consueto e importante carico di foto e video non mancava e sembrava che anche Polifemo avesse fatto correttamente il suo lavoro. Erano infatti presenti, immagini dei palloni in volo, ripresi dalla mini-fotocamera di questo nuovo esperimento! Giunti all'esame dei dati memorizzati nella SD Card di bordo, però, le sorprese non mancarono. Anzi! Si scoprì subito, che il funzionamento della scheda BSM-2 durante gran parte del volo era stato fortemente disturbato. Alcuni sensori, addirittura avevano mal operato sia durante l'ascesa che durante la discesa. Questi malfunzionamenti avevano provocato anche importanti reset di sistema, che oltre a manifestarsi come buchi nella continuità delle misure, avevano quasi compromesso il buon esito della missione.

Analizzando il dati relativi all'altezza inoltre, si scoprì che il record ascensionale non era stato affatto battuto (la massima raggiunta era di 35834 metri) e cosa ancora più sorprendente, che il profilo di discesa terminava misteriosamente a 16000 metri di quota. Mancavano all'appello quindi, tutte le misure da quella quota a quella previste per l'atterraggio. Per un qualche motivo che doveva essere ancora appurato, il computer di bordo presente nella scheda BSM-2 aveva terminato d'acquisire i dati intorno alle ore 9:52.

Durante l'esame post missione effettuato nei laboratori di Develer, s'appurò che la scheda di controllo principale era stata influenzata negativamente per tutto il tempo di missione, da un importante incompatibilità elettromagnetica tra la scheda BSM-2 e l'esperimento Polifemo, che come ricorderete era al suo primo volo di collaudo in quota, ma soprattutto da un importante problema al file system della scheda SD Card. Quest'ultima si scoprì solo più tardi aveva creato la maggior parte dei problemi riscontrati in volo.

Hadarp 3.0: mission accomplished!
MissionAccomplishedL'esperimento Hadarp 3D, invece, durante gran parte del volo di Stratospera 4 aveva funzionato in modo impeccabile, dimostrando così, che tutti i problemi che lo avevano afflitto durante i voli precedenti erano stati da noi, compresi e risolti. Una bella soddisfazione dopo mesi di duro lavoro! I dati della radioattività memorizzati sulla SD Card erano presenti, regolari e misurati con la giusta linearità che ci si aspettava anche alle quote più alte. Questi s'interrompevano però bruscamente alla quota di 34979 metri, quando Hadarp e Polifemo furono spenti, su comando d'esclusione energetica impartito dalla scheda BSM-2. Questa scelta, impartita dal firmware principale di bordo, rappresentava la decisione drastica delle routine d'emergenza, atte a preservare le batterie per garantire il rientro a terra. Queste, infatti, erano già state messe a dura prova dai continui riavvii di sistema, scatenati dalle varie concause interne. Per l'analisi più approfondita del volo di Stratospera 4, vi rimando all'ottima analisi effettuata dall'amico Francesco Sacchi di Develer, che potrete trovare a questo link. Comparando i dati di radioattività rilevati da Hadarp nella sua ultima missione nella stratosfera, con quelli rilevati dalle precedenti versioni hardware dello stesso dispositivo, fu possibile notare l'importante similitudine tra le letture, ma con alcune importanti differenze. Mentre i valori registrati nel corso di STS2 e STS3 (rispettivamente linee rosse e linee blu) mostravano un andamento pressochè sovrapponibile tra loro, delineando che l'hardware operava in un determinato modo, le letture registrate da Hadarp 3D su STS4 (linea viola) si discostavano leggermente dalle medie precedentemente acquisite, almeno nei valori della rampa d'ascesa.

Hadarp2 3 4 HR

Perchè era presente questa differenza? La spiegazione era legata al tipo di sonda utilizzata per il rilevamento della radioattività. Come ricorderete, infatti, nelle prime due missioni di Hadarp nella stratosfera, il dispositivo era dotato di sonde del tipo LND712, dotate di finestra in mica per il rilevamento di grosse particelle corpuscolari. Sulla versione 3D, invece, volò la sonda russa SBM20, la cui corazza metallica permetteva di rilevare solo le particelle corpuscolari più fini ed energetiche, nonché un ampio spettro di radiazioni elettromagnetiche (prevalentemente raggi X e Gamma). Questa differenza costruttiva si era comportata come un vero e proprio filtro, che oltre ad aver escluso dal rilevamento le particelle più pesanti, più diffuse alle basse quote e meno energetiche impedì significatamente il verificarsi di situazioni di saturazione della sonda. Il successo di Hadarp 3D, quindi, risiedette in gran parte nella scelta effettuata in fase progettuale, adottando per il volo una sonda meno sensibile rispetto a quelle utilizzate nei voli iniziali. Tutto il resto delle modifiche hardware effettuate alla circuiteria, infine, servirono a renderlo più affidabile in termini di consumo energetico, nonché dal punto di vista della sicurezza in volo del payload.

Matteo Negri